Toccateci tutto, ma non il nostro Mao. Nel senso che i Mao Zedong pop di Andy Warhol non faranno il giro della Cina, il prossimo anno: il regime di Pechino non apprezza. Domanda: significa che la Cina è davvero comunista o che il modello americano in Asia è tramontato definitivamente? Secondo me la risposta è ancora un’altra: il rapporto tra arte e consumo che sta alla base della pop-art non ha senso in Cina dove sia l’arte sia il consumo sono pilotati. Una dimostrazione possibile di tutto ciò è che la notizia della censura preventiva è stata data dal South China Morning Post, quotidiano “indipendente” di Hong Kong. A propria volta: notizia o reclame indiretta? La mostra «Andy Warhol: 15 Minutes Eternal» ora è proprio a Hong Kong dove rimarrà aperta fino al 31 marzo all’Hong Kong Museum of Art e poi andrà a Shanghai, Pechino e Tokyo per un tour di 26 mesi in Asia in occasione del venticinquesimo anniversario della morte di Warhol. E a Hong Kong i ritratti di Mao ci sono…
Infatti, la mostra in questione comprende oltre 300 tra dipinti, fotografie e filmati di Andy Warhol: protagonisti, i soliti personaggi famosi da Jackie Kennedy a Marilyn Monroe. A Hong Kong ci sono anche dieci “trascrizioni” del grande timoniere cinese, che invece Pechino ha deciso di escludere. «Hanno detto che Mao non funziona – ha detto Eric Shiner, direttore del museo su Andy Warhol di Pittsburgh al South China Morning Post – ma questo è molto deludente perché il suo immaginario è così comune e tradizionale nell’arte contemporanea cinese». Un funzionario di Shanghai che ha chiesto di rimanere anonimo, invece, ha confermato che le opere su Mao sono state respinte dal ministero della Cultura cinese che tuttavia ha rifiutato di commentare l’accaduto.
Torniamo alla domanda: fu vera censura? Forse il problema è meno semplice di quanto appaia. Un regime consolidato e rigidissimo al proprio interno non consente ambiguità. La pop-art è ambigua per definizione perché volendo censurare l’onnipresenza del mercato nella cultura occidentale finisce per farsi a propria volta mercato. E infatti Warhol & Co. sono sempre stati fortissimi sul mercato americano e internazionale (in Italia sarebbe successo lo stesso, se Schifano e gli altri non avessero inflazionato se stessi con una quantità immonda di falsi…). Con tutto ciò non voglio dire che la Cina è impermeabile alle ambiguità del mercato (anzi), dico solo che quelle ambiguità vuole governarle in prima persona. E se deve confezionare o vendere spillette con la faccia di Mao Zedong, lo fa in prima persona, non dà l’appalto a Andy Warhol.